Il 30 maggio 2023 è la “Giornata mondiale senza tabacco“. Per l’occasione, abbiamo affrontato il tema delle dipendenze con il dott. Longobardi, psichiatra al nostro Poliambulatorio e Dirigente Medico Psichiatra presso l’Asst di Cremona.

Cosa si intende per dipendenza, in termini psicologici?

In termini psicologici, per “dipendenza” intendiamo un’alterazione del comportamento che, se prima rappresentava una comune o semplice abitudine, diventa una ricerca esagerata del piacere che ne deriva attraverso mezzi, o sostanze, o comportamenti, che sfociano quindi in una condizione patologica. Dal punto di vista medico, invece, possiamo intendere la dipendenza come una condizione clinica caratterizzata dall’insorgenza di una sindrome da astinenza, nel momento in cui non si assume più una certa sostanza.

Da qualsiasi punto la vogliamo vedere, è bene chiarire che la dipendenza si manifesta con due componenti: una componente fisica, cioè nel momento in cui si sospende l’uso di una sostanza, o di quel determinato comportamento, si evidenziano dei segni clinici ben specifici (tremori, dolori, tachicardia, aumento della pressione arteriosa, ecc.) e poi esiste una componente psichica, associata un calo dell’umore e alterazioni comportamentali. Queste ultime portano l’individuo a quello che in gergo scientifico si definisce “craving”, ovvero quel desiderio incontrollabile di tornare ad assumere quella sostanza o reiterare quella determinata condotta, con lo scopo di provarne piacere.

Qual è la relazione tra dipendenze e psicologia?

Qualsiasi forma di dipendenza rappresenta l’espressione di un disagio psicologico che in un certo momento della propria vita un determinato individuo può sperimentare. Ad esempio, individui che entrano in una fase depressiva possono fare uso di sostanze stupefacenti per “automedicarsi”.

Non solo. La dipendenza può essere la causa di ulteriori problematiche psicologiche e psichiatriche a cui l’individuo va incontro. Nelle tossicodipendenze, per esempio, possono esserci manifestazioni psicologiche e psichiatriche secondarie all’utilizzo di sostanze stupefacenti. Un caso sono i quadri clinici caratterizzati dalla presenza di sintomi ansioso-depressivi conseguenti all’uso cronico della sostanza stessa, che si accompagnano ai sintomi d’astinenza e che si verificano quando l’individuo non ha più accesso alla sostanza e desidera in tutti modi poterla assumere di nuovo.

Esistono dipendenze solo “fisiche”, di oggetti e sostanze, o anche altri tipi di dipendenze?

Le dipendenze, nonostante nell’immaginario collettivo siano da sempre correlate a quelle che oggi definiamo “sostanze da abuso”, trovano la loro collocazione anche all’interno di altri ambiti oggi sempre più studiati, con quadri clinici ampiamente documentati nell’ambito degli attuali sistemi nosografici. Ad esempio, esistono dipendenze legate all’utilizzo di internet, al cibo, all’utilizzo di dispositivi elettronici, ma anche dipendenze che si inseriscono sul piano puramente relazionale, che possono sfociare in veri e propri disturbi, come ad esempio il ben noto “disturbo di personalità dipendente” o la “dipendenza affettiva patologica”.

Quali sono, secondo la sua esperienza, le dipendenze più diffuse in questo momento storico?

I dati sulle dipendenze sono indubbiamente sottostimati. Se da un lato, rispetto alle dipendenze da sostanze stupefacenti, si hanno molti dati epidemiologici perché più “osservabili ed accessibili”, i dati che invece si hanno su altre forme di dipendenza risultano meno accurati, poiché non sempre i soggetti che hanno sviluppato una particolare dipendenza vengono ben “intercettati”. Ad ogni modo, sicuramente anche le altre forme di dipendenze oggi emergenti vedono una grande partecipazione nella costituzione dell’insieme delle dipendenze in senso lato.

Come si può intervenire? Anche la famiglia e gli affetti possono avere un riflesso positivo sul comportamento? E lo psicologo o psichiatra?

Senza ombra di dubbio, le dipendenze in generale ed in particolare le tossicodipendenze (meglio note, secondo la nosografia psichiatrica contemporanea, come Disturbi da uso di sostanze) sono espressione di un disagio sociale e soprattutto familiare che l’individuo nel tempo sperimenta.

Sono ad oggi innumerevoli i dati di letteratura scientifica che correlano la caduta in una dipendenza (tipicamente una dipendenza da sostanze) con determinate tipologie di ambienti familiari. In particolare, un ambiente familiare dove le figure genitoriali si pongono in un clima accudente, protettivo, e che sostiene la crescita del bambino, rappresenta un fattore protettivo rispetto alla possibilità di sviluppare una dipendenza futura. Al contrario, ambienti familiari caratterizzati da trascuratezza, incuria del bambino, o addirittura esperienze di abusi fisici, emotivi e psicologici, o di totale assenza dei genitori caregivers, predispongono largamente allo sviluppo di psicopatologie e di qualsiasi forma di dipendenza in età adolescenziale e successivamente adulta.

È chiaro, quindi, che le famiglie rappresentano la prima forma di supporto (o purtroppo, il primo fattore di rischio) che può porre le basi per lo sviluppo o meno di un quadro di dipendenza. In quest’ottica, le figure dello psicologo e dello psichiatra possono aiutare il paziente a comprendere la causa del disagio a ricollocare la dipendenza in una cornice più ampia, permettendogli di poterne comprendere le radici e trovare nuove risorse, interne ed esterne, per poterne uscire.

Nella sua esperienza, le è capitato di dover trattare un caso di dipendenza (di qualsiasi tipo)? Ci può raccontare (sempre nell’anonimato) uno o più casi e come si sono affrontati?

La mia esperienza come medico psichiatra sia all’interno del servizio ambulatoriale sia all’interno del servizio pubblico ospedaliero mi porta spesso ad osservare casi di dipendenza, prevalentemente da sostanze stupefacenti e da alcolici.

Uno degli ultimi casi che ho seguito e dove ci sono stati ottimi risultati, raggiunti in maniera congiunta con altri colleghi, ha riguardato un uomo della periferia cremonese di una sessantina d’anni con una lunga storia di dipendenza da alcolici, nel quale era caduto per “automedicarsi” rispetto al dolore provato per alcune separazioni affettive (lutti e allontanamenti familiari). Era giunto in reparto quasi in una condizione di coma etilico. Nel corso delle settimane, l’inserimento di una adeguata terapia psicofarmacologica volta a prevenire i sintomi astinenziali e il desiderio di avvicinarsi nuovamente all’alcol, il coinvolgimento in programmi psicoterapeutici specifici per le dipendenze e l’aggancio al servizio territoriale di Cremona per le dipendenze (Ser.D) ha permesso all’uomo di uscire dalla dipendenza da alcolici. Il percorso gli ha permesso poi di elaborare il dolore rispetto alle separazioni che lo avevano portato ad iniziare a bere e di reinvestire su nuovi progetti di vita.